
Per ora ci sono stati avvertimenti “preventivi” che hanno prodotto effetti o risposte “preventive”: minacciosi per Cina, Messico, Nato e per la Germania della Merkel. Più accomodanti alla Gran Bretagna della Brexit, alla Russia, a Israele. Sulla carta si tratta di una rivoluzione rispetto alle politiche di Obama così come di molte presidenze repubblicane .Non e però detto che – nel passaggio dalle poesia della campagna elettorale (che non sembra finire mai con Trump!) alla prosa dell’azione di governo – questi avvertimenti preventivi si trasformino si concretizzino appieno.
A proposito di Europa: il sostegno offerto al Regno Unito di Theresa May, l’auspicio che ci siano altre exit possono essere un fattore in grado di disgregare l’Europa?
La storia europea è costellata da crisi esterne che hanno svolto un ruolo di stimolo per passi avanti nel processo di integrazione: basti pensare ai timori per la crescita inarrestabile del Giappone degli anni ’80 che aiutarono la Commissione Delors nel promuovere il mercato unico, l’allargamento e i primi progetti per l’introduzione della moneta unica.
Non necessariamente. L’Europa di oggi esce però logorata da anni di divisioni interne , prima per la crisi greca e più recentemente per i migranti e per la Brexit: pensare ad un nuovo processo di compattamento richiede quindi una grande ottimismo e impone, quantomeno, di attendere l’esito delle elezioni in Francia e Germania.
Uno dei capitoli più controversi dell’Agenda Trump è la sua vicinanza alla Russia e al suo presidente Putin. Le sue parole sulla Nato “obsoleta” possono essere lette in quest’ottica?
Sappiamo tutti da oltre vent’anni che la Nato è obsoleta e alla ricerca di una nuova missione come peraltro abbiamo visto con gli interventi nei Balcani e in Afghanistan. Quando però l’obsolescenza è dichiarata dal presidente eletto Usa in una fase di rigurgito di Guerra Fredda si mandano due messaggi forti e chiari: uno di rassicurazione alla Russia, uno di preoccupazione ai paesi europei dell’ex blocco sovietico.
L’eventuale battaglia con Merkel non sarà tanto sulle sanzioni – mai digerite dagli industriali tedeschi -, ma sulla gestione delle ansie polacche o baltiche di cui la cancelliera tedesca e i leader europei dovranno farsi carico per evitare ulteriori, dolorose divisioni dell’Unione.
E in Medio Oriente? Sarà un’America interventista o isolazionista. Oggi Trump sembra ondeggiare tra queste due polarità…
Ondeggia certamente, basti pensare al suo gabinetto affollato di generali interventisti che dovrà – o dovrebbe – gestire una agenda isolazionista. La visione di “pace grazie alla forza” che ispira Trump lo porterà molto probabilmente ad essere attivo e muscolare sul piano militare contro Isis ma disinteressato alla gestione del post Isis, ossia nella complessa ricostruzione politica ed economica dei paesi della regione necessaria per evitare che un Isis 2.0 si affermi in tempi brevi. Un film già visto, ahimè.
E all’interno dei confini americani? È il presidente che parte col grado di approvazione più basso, ma ha un inusuale e schiacciante maggioranza sia al Congresso sia al Senato…
L’agenda è estremamente ambiziosa: riforma fiscale, piano di investimenti in infrastrutture, interventi per contrastare l’immigrazione irregolare, lo smantellamento di Obama care. In alcuni, limitati, ambiti potrà agire con decreti presidenziali o con nomine di collaboratori fidati (come nel caso delle agenzie di regolamentazione finanziaria o ambientale) e quindi agire con tempestività. Per tutto il resto dovrà passare dal Congresso che è si controllato dai repubblicani, ma non necessariamente da repubblicani allineati alle sue politiche. Sosterranno, per esempio, il piano di investimenti che per anni hanno negato a Obama? Saranno a favore della cancellazione dell’accordo commerciale con Messico e Canada che introdusse un altro presidente repubblicano come George Bush senior? Staremo a vedere.