Tav o no Tav. Questo è il dilemma. In un’Italia spaccata in due rispetto la questione, tra chi vede l’Alta Velocità come un trampolino per inserirsi a pieno titolo in Europa e chi, invece, la vede solo come una dannosa deturpazione della natura, si è perso di vista uno dei fattori cruciali, quello delle infiltrazioni mafiose all’interno dei cantieri.
Solo tre, ma eclatanti, esempi, di come la criminalità organizzata sia riuscita in breve tempo ad allungare le mani sui cantieri dell’Alta Velocità al nord. Anche grazie alla doppia possibilità che i cantieri della Tav concedono: le cosche non solo sono in grado di trarre profitto attraverso l’assegnazione di appalti, ma anche tramite lo smaltimento illecito di rifiuti: nel 2008 fu scoperta una montagna di materiale non bonificato sotterrato lungo i cantieri lombardi.
Lo stesso cartello camorristico che sulla Napoli-Roma ha fatto affari d’oro. In un solo anno, dall’apertura dei lavori nel 1994 fino al 1995, sul tracciato della Tav hanno lavorato decine di ditte sporche, con un guadagno di oltre 10mila miliardi di lire. I camorristi si imposero sul controllo dei lavori in due differenti modi: o infiltrando le proprie ditte, per lo più controllate da Pasquale Zagaria, fratello del noto boss Michele, o richiedendo tangenti alle imprese pulite, che concorrevano nella realizzazione della tratta.
Il costo per chilometro, della tratta Roma-Napoli, fu di circa 44 milioni di euro, con punte che sfioravano a 60 milioni. Le indagini, pertanto, cercavano di capire se tali cifre nascondessero, in realtà, fondi neri istituiti appositamente dalla Camorra di Casal di Principe.